Sempre più frequentemente, per soggiorni di breve o media durata, i turisti italiani o stranieri scelgono di affidarsi a strutture quali bed & breakfast, “case-vacanza” e/o affittacamere. Tali attività sono proliferate negli ultimi anni tanto da far registrare un cospicuo aumento di forum e portali nella rete internet all’interno dei quali è possibile, su impulso dei gestori ed attraverso i racconti dei turisti, da un lato pubblicizzare e, dall’altro, prenotare e recensire le strutture ed i servizi ivi offerti. Occorre, tuttavia, considerare che spesso tali attività vengono svolte in condominii di edifici. Si pone in detti casi il problema, per i proprietari/gestori, di verificarne la compatibilità. Ma andiamo con ordine. E’ necessario, anzitutto, operare una corretta classificazione tra una moltitudine di attività, ognuna delle quali idonea ad interfacciarsi in maniera differente dalle altre con la realtà condominiale.
Con riguardo a fonti di rango primario (la legge), l’art. 12 del codice del turismo (All. D.Lgs 79/2011), prima di essere dichiarato incostituzionale per eccesso di delega (sent. 5 aprile 2012 n. 80) poneva in essere una classificazione -da alcuni autori ritenuta ancora un valido supporto esemplificativo- delle strutture ricettive extra-alberghiere, ovvero non aventi carattere di impresa.
Tra i diversi modelli descritti dal legislatore, gli esercizi di affittacamere erano definiti come “strutture ricettive composte da camere ubicate in più appartamenti ammobiliati nello stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari”.
I bed and breakfast, invece, erano considerati “strutture ricettive a conduzione ed organizzazione familiare, gestite da privati in forma non imprenditoriale, che forniscono alloggio e prima colazione utilizzando parti della stessa unità immobiliare purché funzionalmente collegate e con spazi familiari condivisi”.
Infine, appartenevano alla categoria delle unità abitative ammobiliate ad uso turistico le “case o appartamenti, arredati e dotati di servizi igienici e di cucina autonomi, dati in locazione ai turisti, nel corso di una o più stagioni, con contratti aventi validità non inferiore a sette giorni e non superiore a sei mesi consecutivi senza la prestazione di alcun servizio di tipo alberghiero. Le unità abitative ammobiliate a uso turistico possono essere gestite: a) in forma imprenditoriale; b) in forma non imprenditoriale, da coloro che hanno la disponibilità fino ad un massimo di quattro unità abitative, senza organizzazione in forma di impresa”. Tale ultima differenza valeva anche per i cd. bed and breakfast che ben potevano presentare carattere imprenditoriale finendo per essere disciplinati da una diversa norma del codice del turismo (art. 9), parimenti abrogata per eccesso di delega.
Venuta meno la fonte principale (la norma del cd. codice del turismo, si ribadisce, è stata dichiarata incostituzionale), l’analisi della questione si pone dapprima in riferimento ai regolamenti dei vari enti locali, che pongono norme di dettaglio a cui si rimanda, e successivamente con riguardo ai singoli regolamenti condominiali i quali ultimi assumono importanza dirimente per ammettere o vietare le attività in questione all’interno del condominio. Nel regolamento di condominio ben potrebbe rinvenirsi il divieto di adibire l’unità immobiliare a fini differenti da quelli abitativi. La casistica, a tal riguardo, è ampia e particolareggiata. Iniziamo da un dato temporale. E’ chiaro che un divieto specifico di svolgere nelle unità immobiliari attività (imprenditoriale o meno) di affittacamere e/o bed & breakfast difficilmente si troverà in regolamenti condominiali datati, i quali tendevano solitamente a contenere divieti generici, “a maglie larghe” (ad. esempio “divieto di svolgere attività professionale”, o per converso, “divieto di uso diverso da quello di abitazione o di ufficio professionale”).
Avuto riguardo al differente parametro della natura giuridica del regolamento condominiale è opportuno chiarire che un divieto più o meno ampio difficilmente si potrà rinvenire in regolamenti assembleari (che per tali decisioni prevede l’unanimità), essendo, viceversa, più probabile ritrovarlo in regolamenti cd. contrattuali per fabbricati di nuova costruzione che in tal caso andrebbero comunque interpretati alla stregua dei canoni di legge, artt. 1362 e seguenti c.c. e comunque restrittivamente ove vadano a comprimere la libera disponibilità del diritto di proprietà.
In ogni caso, una clausola che contenesse la dicitura “divieto di adibire le unità immobiliari ad attività imprenditoriale alberghiera” non è, per ciò solo, ostativa all’attività di affittacamere e/o bed & breakfast, ove queste non prevedano una attività – appunto – imprenditoriale in senso stretto, venendo nuovamente in gioco la definizione data sopra. Per concludere sul punto, come confermato anche da copiosa giurisprudenza, anche un tale divieto “a maglie strette” potrà essere superato dall’analisi del caso concreto, non essendo una attività familiare o parafamiliare riconducibile e sussumibile sotto il paradigma dell’impresa in senso stretto.
L’ultimo aspetto tecnico che resta da affrontare attiene all’opponibilità delle clausole presenti nei regolamenti contrattuali ai successivi acquirenti di immobili che vogliano adibire le unità ad attività di bed&breakfast e similari (svolte in forma di impresa o meno). In altri termini, le clausole di un regolamento contrattuale (che vincola solo le parti stipulanti) possono essere opposte ai successivi acquirenti? L’orientamento maggioritario della giurisprudenza precisa che si tratterebbe di una cd. servitù atipica. Premesso che, a parere di chi scrive, un diritto reale atipico contrasterebbe con i principi generali del nostro ordinamento, le più recenti sentenze dei Tribunali e della Cassazione sul punto, andando oltre le mere “etichette”, hanno chiarito che solo la trascrizione nei registri immobiliari di tali pesi od oneri (divieto di esercizio delle attività in questione) all’atto della vendita dell’immobile renderà opponibile tali clausole al nuovo o ai nuovi proprietari.
Un’ulteriore precisazione è tuttavia doverosa. Occorre chiedersi, anche nell’ottica dello spirito di vicinanza e dialogo tra condomini che anima questa Associazione per cui ho l’onore e il piacere di scrivere questo contributo, quali potrebbero essere le motivazioni per osteggiare una tale attività imprenditoriale o meno che sia- all’interno di un condominio. Certo non potrà porsi riferimento alcuno all’eccessivo utilizzo di parti comuni che magari potranno risultare più “affollate”, bensì un valido motivo di protesta potrebbe essere individuato nelle eccessive immissioni provenienti da tale attività ovvero le problematiche attinenti la messa in sicurezza di un edificio che si troverà ad essere maggiormente frequentato. Anche in questo caso, dunque, sarà l’assemblea il luogo idoneo a discutere e valutare, anche sotto la guida dell’amministratore, le più adeguate soluzioni.
Avv. Amedeo Caracciolo