L’art. 1123 c.c. stabilisce che “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”.
Le principali difficoltà nell’applicazione di detta norma sorgono in merito alle maggioranze necessarie per la modifica dei criteri di ripartizione di tali spese.
Sul punto la Suprema Corte di Cassazione, nell’accogliere un ricorso di un condomino avverso la pronuncia assembleare che statuiva, con la maggioranza qualificata, un aumento delle quote condominiali per gli appartamenti adibiti ad uffici, ha affermato che “deve ritenersi affetta da nullità (che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole), e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall’art. 1137 c.c., la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell’interesse comune. Ciò, in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca”(Cass. 14.6.2013, n. 15042).
Dunque una delibera che modifichi, a maggioranza e non all’unanimità, i criteri di ripartizione delle spese comuni, in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, è nulla e come tale può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse, quindi, anche dal condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla relativa formazione, purché il medesimo alleghi e dimostri di avervi interesse, derivando dalla deliberazione assembleare un apprezzabile pregiudizio a suo carico.
Tuttavia, va ricordato che la stessa giurisprudenza, in più occasioni, ha precisato che “la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall’assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, ovvero l’acquiescenza rappresentata dalla concreta disap-plicazione delle stesse tabelle per più anni può assumere il valore di univoco comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica dei criteri di ripartizione da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dare luogo, quindi, ad una convenzione modificatrice della relativa disciplina, che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco dell’assemblea dei condomini (cfr.: Cass. civ., 10.02.2009 n. 3245, Cass. civ. 24.5.2013 n. 13004).
Avv. Carlo Maria Palmiero
Avv. Giovanna Melillo