La tematica relativa alla figura del regolamento condominiale appare di grande rilevanza, soprattutto nel momento in cui ci si trovi ad amministrare dei “grandi” condomini, per i quali il regolamento è obbligatorio.
Quando il regolamento è obbligatorio
Ai sensi dell’art. 1138, co. 1 del c.c., è infatti stabilito che “quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione”.
I successivi commi, invece, ne individuano le modalità di approvazione e i limiti. A tali previsioni normative si collegano, poi, i contenuti degli artt. 68, 69 70, 71 e 72 disp. att. c.c. Pertanto, la stessa disciplina appare piuttosto complessa.
Bisogna chiedersi, in primis, cosa è il regolamento condominiale.
Né il legislatore, né la L. 220/2012 ne forniscono una specifica definizione. Secondo una parte della dottrina, il regolamento condominiale può essere letto come legge interna al condominio.
Agli antipodi si pongono altre teorie che ne asseriscono (fornendo un’interpretazione letterale delle norme) la mera natura di documento, al cui interno sono presenti delle semplici regole, volte a disciplinare diversi argomenti (l’uso delle cose comuni, diritti e obblighi di ogni condomino, ripartizione delle spese, amministrazione e tutela del decoro dell’edificio). A fare chiarezza sull’argomento è intervenuta la Cassazione, la quale ha riconosciuto al regolamento condominiale il valore di atto il cui contenuto presenta norme giuridicamente vincolanti, fonte di obblighi e diritti (Cass. 12342/1995).
Le clausole del regolamento condominiale possono avere natura regolamentare. Queste possono essere modificate, ai sensi dell’art. 1136 c.c. nel momento in cui attengono agli interessi impersonali dei condomini. Presentano, invece, natura contrattuale quelle clausole in grado di incidere in maniera diretta sulla sfera soggettiva dei medesimi e potranno essere modificate solo con il consenso unanime ( ad esempio, come accade nel caso delle clausole che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese di riscaldamento).
Il regolamento condominiale ha anche la capacità di imporre un limite al decoro architettonico, in maniera rigorosa. Basti pensare al divieto previsto in materia di innovazioni che può giungere ad imporre la conservazione di elementi relativi alla simmetria, all’estetica e all’aspetto generale dell’edificio ( Cass. 1748/2013).
Circa la formazione del regolamento, questa è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam in quanto le clausole hanno natura contrattuale ed incidono in maniera diretta sui diritti immobiliari.
In merito all’approvazione del regolamento, lo stesso art. 1138 c.c. prevede espressamente che, per la formazione o la modifica dello stesso, l’iniziativa può essere assunta da ciascun condomino. Ai sensi dell’art. 1136, co. 2, c.c. è prevista una maggioranza idonea a rappresentare il numero degli intervenuti all’assemblea e ad almeno la metà del valore dell’edificio. Una volta approvato, il regolamento sarà poi allegato al registro dei verbali e delle assemblee.
Qualora un condomino ritenga che il contenuto di una norma del regolamento, o il regolamento stesso, possano lederne un proprio diritto, può procedere all’impugnazione secondo quanto previsto dall’art. 1107 c.c. Pertanto, l’impugnazione dello stesso dovrà avvenire entro il termine 30 giorni dall’assemblea deliberatrice. Il termine decorre, invece, dal giorno in cui è stata comunicata la deliberazione, nel caso in cui il condomino sia stato assente. In ogni caso, l’autorità giudiziaria sarà sempre tenuta a decidere sulle eventuali impugnazioni con un’unica sentenza.
In virtù della disciplina prevista dall’art. 1130 c.c. (come modificato dalla L. 220/2012), il soggetto preposto a curarne l’osservanza è l’amministratore.
Violazione delle norme del regolamento condominiale
Cosa accade, quindi, nel caso in cui un condomino violi il regolamento condominiale?
La risposta viene fornita dall’art. 70 disp. att. c.c., secondo il quale il regolamento condominiale può contenere sanzioni pecuniarie a carico dei trasgressori, a partire da una somma di €.200,00 fino a giungere, in caso di recidiva, ad €.800,00. Lo somma in questione potrà essere, poi, destinata, al fondo di cui l’amministratore si avvale per le spese ordinarie. La sanzione può essere applicata solo nei confronti dei proprietari poiché l’art. 70 disp. att. c.c. è da considerarsi come norma eccezionale. Esso, infatti, prevede una pena di natura privatistica da applicarsi ai soli proprietari e non anche ai conduttori poiché, questi, godono delle parti comuni dell’edificio in virtù di un rapporto obbligatorio (Cass. 10387/1995).
Le sanzioni applicabili in caso di violazione del regolamento condominiale devono, però, avere esclusivamente natura pecuniaria. Ciò deriva dal fatto che, un diverso utilizzo, potrebbe porsi in contrasto con il diritto di autotutela dei singoli condomini (Cass. 820/2014). Per esempio, una eventuale sanzione relativa alla rimozione delle autovetture, parcheggiate in maniera irregolare nelle aree comuni, è illegittima.
Quali possono essere, allora, le soluzioni adottabili dagli amministratori in caso di violazione del regolamento condominiale?
L’amministratore, in virtù della Riforma del Condominio del 2012, ha il potere e l’obbligo di minacciare l’applicazione delle sanzioni a quei condomini “scorretti”ed, eventualmente, sanzionarli.Una simile risposta può, da un lato,migliorare la convivenza (forzata) tra i condomini e, dall’altro, arricchire il fondo cassa per le spese ordinarie (il che diciamolo, non è poi così male!).
Sarebbe altresì necessario investire sull’educazione dei condomini ad una pacifica convivenza, basata sul rispetto reciproco.
Ma si sa: l’amministratore di condominio non può compiere miracoli!
D.ssa Federica Colicchio